domenica 30 giugno 2013

USB al fianco dei lavoratori del commercio e contro il lavoro domenicale e festivo

Manifestazione di protesta - Pantheon - 3 luglio, ore 10.00


Il 3 luglio a Roma saranno discusse, nelle aule Parlamentari, le proposte di Legge per regolamentare le aperture domenicali. USB, al fianco dei lavoratori del commercio, sarà in presidio al Pantheon per dire NO al saccheggio di diritti e dignità che hanno subito i lavoratori del settore e per portare la voce di chi si è visto togliere anche il diritto ai giorni di festa.

Il decreto del governo Monti, noto come “salva Italia”, come da noi profetizzato, sta producendo i suoi effetti nefasti ed evidenziando le sue contraddizioni. Molti italiani trascorrono le feste e le domeniche dentro un centro commerciale. Il capitale si accaparra anche i giorni di festa.

La possibilità degli esercizi commerciali e dei grandi ipermercati di tenere aperto sempre, anche durante le domeniche e i festivi, è stata recepita subito da tutti i soggetti interessati, creando un vantaggio e una comodità apparenti per “l’homo consumens” e, nel contempo, gravissimi problemi per i lavoratori, che non hanno più tempo per se stessi e per le proprie famiglie, aggiungendo un ennesimo tassello al puzzle di precarietà, basso salario, difficoltà nella vita di relazione e degli ormai pochissimi diritti per oltre due milioni addetti del settore.

La crisi del commercio non ha nessun collegamento con le aperture e la liberalizzazione degli orari ma nasce dalla mancanza di reddito diretto ed indiretto dei consumatori, ed ecco una prima contraddizione evidente. Le mirabolanti promesse di crescita occupazionale all’indomani del decreto Monti si stanno traducendo oggi in chiusure di migliaia di imprese piccole e grandi, che non reggono la concorrenza, e le nuove assunzioni nella Grande Distribuzione Organizzata sono rimaste lettera morta e si sono tradotte in aumento di carichi di lavoro degli occupati e già precarizzati lavoratori dei centri commerciali.

Il suddetto aumento dei carichi di lavoro e quello del nastro orario per far fronte alle liberalizzazioni, e siamo alla seconda contraddizione, non si è tradotto in stabilizzazione dei rapporti precari o in crescita salariale. I lavoratori della GDO hanno visto aumentare la flessibilità e la precarietà e nel contempo le aziende ed i sindacati concertativi hanno “limato” le maggiorazioni festive e domenicali attraverso macchiavellici accordi a perdere. Insomma, lavorare di più per guadagnare di meno.

In un paese che fa i suoi continui richiami alla “sacralità” della famiglia e dove i servizi pubblici non sono attivi spesso neanche il sabato, ed in un settore dove l'80% degli occupati sono di sesso femminile, si evidenzia una terza forte contraddizione. Come può una donna che lavora nel commercio - dove la flessibilità è un elemento imprescindibile e straordinari, festivi obbligatori, orari che cambiano ogni giorno, ferie non concordate sono la normalità - rendere conciliabili i tempi di vita e di cura della famiglia con il proprio lavoro?

La contraddizione più manifesta, però, è quella evidenziata dalle confederazioni sindacali concertative che raccolgono firme con la mano destra e contrattano le aperture con la mano sinistra. Assistiamo a campagne mediatiche, creazione di jingle ad hoc e moltissime dichiarazioni di facciata, ma in realtà i sindacati confederali hanno da tempo svenduto le vite dei lavoratori del commercio sull’altare dello shopping ed hanno nei fatti accompagnato i processi di liberalizzazione degli orari rendendo impossibile l’esistenza dei lavoratori di queste nuove “fabbriche metropolitane”.

Finanche il problema del reddito ne esce sconfitto. Le grandi centrali di acquisto che riforniscono le catene della Grande Distribuzione Organizzata dovrebbero fungere da strumento di «razionalizzazione e programmazione delle forniture», in realtà sono un vero e proprio cartello che scarica i suoi effetti sui prezzi al consumo. Le offerte reclamizzate dai volantini pubblicitari danno un grande risalto a prodotti “civetta” per indurre il consumatore a visitare fisicamente il punto vendita e ad effettuare altri acquisti; il risultato finale spesso è molto meno conveniente di quanto si possa immaginare.

Per ultimo torniamo “all’homo consumens”. I centri commerciali hanno ridisegnato, in pochi anni, i costumi sociali, le condizioni di lavoro e la struttura architettonica della nostre città. Hanno di fatto sostituito le piazze attraverso le quali si connetteva il tessuto sociale di un quartiere disgregando le relazioni umane e la protezione sociale che una piazza favorisce. Nell’antica Grecia la piazza – Agorà - era il luogo simbolo della democrazia del paese, dove si riuniva l’assemblea della polis per discutere e prendere le decisioni politiche. I centri commerciali sostituiscono il senso delle piazze con una traduzione consumistica priva di qualsiasi scambio umano che non sia mediato dal denaro. Si tratta di autentici non luoghi dove i soggetti sociali si incontrano senza interagire, dove il prossimo è visto come colui che ti sottrae un parcheggio o ti scavalca nella fila alla cassa, dove vigono regole non scritte che trasformano questi ecomostri in strane “repubbliche” del consumo, video sorvegliate, transennate, con guardie private armate ad ogni angolo e dove ogni cittadino può ingannevolmente sentirsi ricco, consumatore ma dove in realtà è prigioniero inconsapevole.

Riprendiamoci le nostre vite, di lavoratori e di cittadini, trascorriamo le feste favorendo la socialità, il riposo, la riflessione, la cultura, lo sport, facciamolo creando le giuste alleanze tra “consumatore inconsapevole” e “lavoratore consumato”. Il modello sociale che ci vogliono imporre attraverso lo sfarzo e le luci dei Centri Commerciali è soltanto un inganno in favore dei profitti delle grandi multinazionali del commercio e della lega delle cooperative ed un danno per i lavoratori, i consumatori e la società.

sabato 29 giugno 2013

COOP: LA FABBRICA DELLA PRECARIETA'

Dopo la Bella Addormentata alla Coop, Catia Bottoni, “recordwoman” della precarietà che in 12 anni ha collezionato 27 contratti a termine (molte altre Belle Addormentate aspettano il “Principe" nel territorio laziale); dopo la Via Crucis precaria dei lavoratori Coop della provincia di Livorno, la maggior parte dei quali sono donne e madri, (diversi toccano gli 8-9 anni di contratti a termine a ripetizione), che l'azienda voleva mandare a casa, poi in seguito "stabilizzate" con contratti che di fatto precarizzano il contratto a tempo indeterminato (le lavoratrici sono state assunte ma per soli 5 mesi l’anno, con una formula di “part-time verticale annuo” che prevede appunto che la riduzione oraria rispetto al normale contratto full-time non si applica orizzontalmente mese per mese ma si calcola invece su base annua: 5 mesi di lavoro full-time, 7 mesi a casa); Unicoop Tirreno continua a mostrare il volto di un’azienda senza scrupoli, all’avanguardia nello sfruttamento del lavoro con buona pace dell’etica cooperativa.

Siamo alla storia di alcuni lavoratori, anch'essi precari di lungo corso della Coop, che per questa stagione estiva non sono stati chiamati al lavoro come ormai avveniva da anni. I motivi dell’esclusione non sono legati alla crisi o agli esuberi di personale visto che Unicoop Tirreno ha annunciato lo scorso 5 giugno, per mezzo di un'intervista del suo presidente Marco Lami sul quotidiano Il Tirreno, l'assunzione di 160 persone per la stagione estiva nella provincia di Livorno. Tra questi, nonostante nell'intervista parlassero di "privilegiare chi ha già lavorato in Coop", non ci sono diversi precari “storici”, che alla loro richiesta di spiegazioni si sono sentiti rispondere che non venivano chiamati perché avevano troppi mesi di anzianità alle spalle e che avrebbero chiamato solo chi era sotto una certa soglia di mesi lavorati, oltre a fare assunzioni ex novo di persone che non avevano mai lavorato in Coop. Incredibile. O meglio, credibile, visti i trascorsi di questa azienda.

Perché assumere ex novo lavoratori da formare e senza esperienza e lasciare a casa persone che da anni danno il loro apporto all’impresa con professionalità ed esperienza? La risposta a questa domanda è inquietante: non li chiamano perché non vogliono rischiare che si avvicinino troppo ai 36 mesi di lavoro, validi per l'assunzione obbligatoria per legge. E' il modo che Unicoop Tirreno ha escogitato per aggirare la legge dell'assunzione obbligatoria dopo 36 mesi: ti sfrutto per qualche anno e poi ti saluto, sostituendoti con altri precari. Proprio quella Coop che si riempie la bocca ogni cinque minuti con la parola "legalità", trova il modo di farsi beffa di una legge che tutela i lavoratori dal cancro della precarietà. Un meccanismo effettivamente ingegnoso di un'azienda che si conferma all'avanguardia nel trovare nuove forme per lo sfruttamento selvaggio dei lavoratori. Ma il paradosso di tutto questo è che la Coop, avendo a disposizione una macchina da guerra mediatica (che a Livorno trova il suo apice con le paginate-spot sul Tirreno), può presentarsi all'opinione pubblica addirittura come azienda modello per il trattamento dei lavoratori. Degno del miglior Orwell.

Tutto quanto sopra descritto nell'intervista del presidente viene puntualmente omesso, così come non viene mai pronunciata la parola "interinali" (ossia le tipologie di assunzione a termine della Coop). Anzi, Lami dice "crediamo che in un momento di grave crisi occupazionale sia un contributo importante". Certo, un contributo importante alla precarizzazione galoppante.

Rischiamo di andare incontro ad una nuova era, quella in cui le imprese, soffrendo gli attacchi dell’opinione pubblica riguardo alla precarietà e all’abuso di contratti a termine, assumono sì a tempo indeterminato (magari anche per riscuotere gli incentivi previsti dalle legislazioni su vari livelli), ma lo fanno con forme contrattuali che mettono spalle al muro i lavoratori e li impiccano ad una esistenza fatta di sfruttamento e condizioni di vite lavorative impossibili, oppure assumono per pochi mesi e poi sotto a chi tocca. Tutto questo, consentito da un quadro normativo lavoristico ignobile, sostenuto nel corso degli anni (oltre che dal centrodestra e dai governi tecnici come è nella loro natura) anche dal centrosinistra e dai sindacati complici.

USB Lavoro Privato rigetta al mittente questa idea di sfruttamento, pronta a rilanciare le mobilitazioni al fianco dei precari Coop, delle tante “Belle Addormentate alla Coop” che hanno speso anni di sacrifici personali e familiari per l’agognato “Principe” ma che hanno visto Unicoop Tirreno violare la favola e cambiarne il finale. Il lavoro non è una favola, è dignità e per quella dignità saremo pronti a lottare.
  

venerdì 28 giugno 2013

29 giugno "SCEGLI LA FESTA"

L’USB prosegue la propria azione di lotta contro le aperture domenicali e festive. Dopo la "LEZIONE DI DIRITTI"  dello scorso 25 aprile al centro commerciale Cinecittà Due  e la “LEZIONE DI COSTITUZIONE" del 2 giugno al centro commerciale Porte di Roma, domani 29 giugno (la festa dei patroni della città di Roma), i lavoratori Saturn del centro commerciale RomaEst rifiutano la prestazione lavorativa. 

L'80% dei lavoratori del commercio e della grande distribuzione sono donne. Il lavoro nei giorni festivi sta rendendo loro la vita sociale e familiare impossibile, tra l'altro con contratti part time e precari e con salari bassissimi che occupano tanto tempo e restituiscono pochissimo reddito. Domani rimetteremo al centro il diritto dei lavoratori alle feste, ma soprattutto ad un salario e ad un lavoro all'insegna della dignità.

Il decreto del governo Monti, noto come “salva Italia”, come da noi profetizzato, sta producendo i suoi effetti nefasti ed evidenziando le sue contraddizioni. USB, con la protesta di domani, prosegue la sua campagna nazionale contro le liberalizzazioni degli orari di apertura degli esercizi commerciali, contro la precarietà e lo sfruttamento.


ACCA 24: dopo l'intervento di usb scongiurato il licenziamento dei dipendenti

Alitalia aveva recesso il contratto di appalto mettendo a rischio i posti di lavoro.

A seguito dell’intervento dell’USB, i lavoratori della società ACCA 24 che svolge i servizi di reception presso l'area tecnica Alitalia CAI,  hanno scongiurato la perdita del posto di lavoro.

La risposta dei dipendenti alla comunicazione del recesso da parte di Alitalia del contratto di appalto alla società ACCA 24 è stata immediata  e compatta,  i lavoratori si sono rivolti all'USB  chiedendo di essere rappresentati.

La forte adesione, più del 50% dei lavoratori dell'azienda si sono inscritti all USB, ha permesso al sindacato di entrare a gamba tesa nella delicata vertenza, richiedendo l'apertura di un tavolo di trattativa e ottenendo la conferma dell' appalto, che sarebbe dovuto scadere nel mese di luglio.

Questo importante risultato conferma che la lotta paga e che  la forza del sindacato sta nell'unità dei lavoratori.

USB, in questi giorni ha richiesto all'azienda un incontro per discutere le condizioni lavorative dei dipendenti ACCA 24 .

martedì 25 giugno 2013

No ai licenziamenti alla Odorisio

In risposta al licenziamento a freddo operato dal Gruppo Odorisio nei confronti di una dipendente si sono mobilitati decine e decine di colleghi del negozio di via Alimena. Un folto presidio nel piazzale della Odorisio spa sta chiedendo il ritiro immediato del provvedimento.

Alla notizia, diffusa al termine di un incontro con una delegazione di lavoratori, che sono in arrivo altre lettere di licenziamento, la protesta è scoppiata ancora più forte e ad essa ora si sono aggiunti anche i lavoratori del negozio di via Laurentina.

“I licenziamenti – spiega Francesco Iacovone di Usb Commercio – sono completamente ingiustificati. Ci sono molte lavoratrici che da tempo chiedono il part-time e se lo vedono rifiutare e questo comportamento dimostra l’arbitrarietà del comportamento dell’azienda, che forse sta utilizzando il ricatto del posto di lavoro per scaricare interamente sui lavoratori il contenimento dei costi aziendali”.

“Ma non hanno fatto i conti con la combattività dei lavoratori – conclude Iacovone – assolutamente determinati a rispondere colpo su colpo all’arroganza dell’azienda”. 

domenica 23 giugno 2013

USB Coop Campania: uomini e caporali

Le Coop Emiliane a breve sbarcheranno in Campania, la battaglia iniziata da USB per dire no all'imprenditoria privata ed a salvaguardia dei livelli occupazionali è stata vinta contro l'ignavia dei consiglieri di amministrazione, contro la complicità delle segreterie dei sindacati confederali ma soprattuttio contro la miopia politica e gestionale dei vertici Unicoop.

Ora, messi in sicurezza i posti di lavoro, tutelati i nostri diritti e riaffermata la nostra dignità, non possiamo esimerci dal prendere le dovute distanze da chi vorrebbe salire sul carro dei vincitori prima dell’ultima fermata, da chi racconta di esserci stato fin da sempre. Non possiamo infatti dimenticare che, se fosse stato per altre organizzazioni sindacali, anche gli accordi bocciati dai lavoratori, le indecenti proposte di cosiddetti piani industriali, le ipotesi padronali, sarebbero state sempre ‘il miglior accordo che si potesse ottenere’”. Non possiamo dimenticarci di chi, indossando la stessa maglietta dell'avversario, ha giocato una partita che come unico fine aveva quello di soppiantare l'esperienza cooperativistica campana con l'imprenditoria privata.

Abbiamo dovuto combattere l'arroganza di Unicoop, il silenzio complice dei sindacati concertativi e, con la coerenza e insieme alla forza dei lavoratori, la storia ci ha dato ragione, contro tutto e tutti. La resistenza e la lotta ci hanno portato fin qui ed è da qui che dovremo ripartire per affermare che i lavoratori debbono prendere coscienza della centralità del loro ruolo. Dai lavoratori e dalle lavoratrici dipendono i risultati, a loro spetta il controllo, a loro l’ultimo giudizio sull’operato di tutti.

Ora capi. capetti e caporali di turno tentano di impaurire i nostri iscritti millantando che USB non sartebbe gradita alle Coop Emiliane, come prima millantavano che non era gradita al privato, la realtà è che USB sta dalla parte dei lavoratori, con i lavoratori ha rovesciato il tavolo e questo a qualcuno non va giù. Questi atteggiamenti rafforzano le parole usate nel suo intervento da Fabio Pugliesi, esponente nazionale dell'Associazione Libera, al convegno LE MANI SULLA COOP: "L'atteggiamento mafiogeno dell'autoritarismo e dell'omertà".

Sappiano sin da ora, questi CAPORALI, che i lavoratori hanno già dimostrato di essere UOMINI, che non cadranno in questa trappola e che hanno ben capito chi ha permesso la sopravvivenza della cooperazione in Campania, hanno ben capito che se non avessero preso in mano la vertenza sarebbero stati svenduti al peggior offerente e non permetteranno che il lavoro svolto fin ora venga logorato dai continui e quotidiani attacchi ai diritti dei lavoratori e delle lavoratrici o da meschine illazioni di chi firmò la completa fiducia all'operato di Unicoop.

Ancora una volta l’USB ha dimostrato di saper praticare attraverso il conflitto le sue proposte, dando risposte alle esigenze dei lavoratori. Sulle giuste strade è facile incontrare i giusti compagni di viaggio, il viaggio non è concluso e gli uomini vinceranno sui caporali.

sabato 22 giugno 2013

ODORISIO: PAVIMENTI E LICENZIAMENTI

Il Gruppo Odorisio, centennale marchio della capitale nelle innovazioni tecnologiche e creative dei materiali d'arredo, compie una vera e propria immotivata rappresaglia ai danni di Daniela, consegnandole una lettera di LICENZIAMENTO.

La risposta dei lavoratori alla rappresaglia aziendale è immediata e compatta, già da lunedì i lavoratori in sciopero presidieranno il piazzale della Odorisio S.p.a. e chiederanno con fermezza il ritiro della procedura di licenziamento.

Alla vigilia dell'incontro tra il gruppo Odorisio e l'USB Commercio, per valutare l'applicazione del Contratto Integrativo Aziendale firmato nel mese di aprile, i lavoratori apprendono di questo assurdo e immotivato licenziamento sparato nel mucchio e senza aver preventivamente valutato e concordato possibili soluzioni alternative che evitassero il dramma di una famiglia.

Mentre alla Odorisio molte donne richiedono il part-time per gestire i propri tempi di vita e di cura della famiglia e l'Azienda lo nega puntualmente, Daniela viene licenziata a causa della crisi. Le misure concordate con la nostra O.S., che prevedono un contenimento dei costi aziendali a costo zero per i lavoratori, non sembrano bastare a chi pensa di "ristrutturare" la propria attività a "colpi di piccone", impattando con violenza sulle famiglie di chi ha concorso a fare di Odorisio una delle aziende leader del settore nella capitale.

I lavoratori non accettano questo attacco veemente e già da lunedì risponderanno No ai piani di contenimento dei costi che con la scusa della crisi colpiscono sempre e solo chi vive di salario. USB sarà accanto a queste donne e questi uomini in solidarietà a Daniela, a salvaguardia delle condizioni di lavoro, di vita e di salario e per rimettere al centro i lavoratori e la loro dignità.

venerdì 21 giugno 2013

USB Ipercoop Livorno: c'è poco da festeggiare

Ieri mattina, all'incontro convocato dalla Direzione Iper, ci siamo presentati solo con un nostro delegato anziché, come solitamente, con la nostra componente Usb al completo. Abbiamo preso questa decisione perché riteniamo irrispettoso l'atteggiamento delle Relazioni sindacali, le quali ci stanno negando un incontro che stiamo chiedendo da due settimane, ossia dopo l'uscita dell'intervista rilasciata al quotidiano Il Tirreno dal Presidente Lami lo scorso 5 giugno.

Mentre centinaia di part-time dell'Iper aspettano da anni (10 per la precisione, "festeggiati" proprio l’altro ieri) di avere contratti migliori, anche eventualmente spostandosi nei negozi dei comuni limitrofi, in tale intervista l'azienda parla di 160 nuove assunzioni nella provincia di Livorno, presentandosi come la Coop buona che "dà lavoro", ma senza specificare che stanno semplicemente creando altri precari ex novo (assumendoli con le agenzie interinali...) che chissà se, con quali modalità e fra quanti anni verranno stabilizzati, come dimostra il caso delle 4 ragazze precarie da anni che ad oggi sono senza lavoro perché è da troppo tempo che vanno avanti a contratti a termine e se lavorassero ancora poi dovrebbero essere assunte (sì, avete letto bene, è l'ufficializzazione del lavoro usa e getta: ti tengo precaria per anni e poi quando ti stai avvicinando troppo ai 36 mesi non ti faccio più lavorare). Oltretutto in quell’intervista dicono di aver privilegiato chi aveva già lavorato in Coop, ma questi casi dimostrano che non è così, visto che stanno utilizzando un meccanismo diabolico per il quale lavora chi ha meno anzianità, oltre che come detto creare addirittura nuovi precari.

Di queste cose (ma anche del futuro di noi lavoratori in vista delle nuove aperture di negozi Coop nella città di Livorno) avremmo voluto parlare con l'apposito ufficio di Vignale, e in particolare con la figura che ci fu presentata come quella che doveva fare da tramite fra i negozi e la sede per le questioni sindacali, ma nonostante i nostri sforzi, ad oggi non è stato possibile. Probabilmente il motivo è da ricercare nel fatto che è ancora in vigore l'apartheid sindacale da parte di Unicoop Tirreno nei confronti di Usb: con noi non ci parlano. Un'azienda normale dovrebbe parlare con i suoi dipendenti anche se uno solo di questi glielo chiedesse, la nostra azienda invece non parla con una organizzazione che di suoi dipendenti ne rappresenta centinaia. Difficile da comprendere e da digerire, ma purtroppo oggi è così. E se l'azienda non vuole parlare con Usb di cose così importanti, perché noi dovremmo scattare e metterci sull'attenti nel momento in cui viene convocata la Rsu dell'Iper (in quanto delegati Rsu ci parlano perché non possono fare altrimenti, in quanto delegati Usb no...)? Magari per parlare di quelle decine di estensioni orarie ai part-time che ci spettavano per 5 mesi e invece ora dobbiamo elemosinare mese per mese? No, noi non ci facciamo prendere in giro, anche se comunque ci siamo presentati con un delegato per rispetto al nostro ruolo di rappresentanti dei lavoratori e delle lavoratrici.

Sono anni che lottiamo contro le diverse forme di precarietà usate dalla nostra azienda, che siano queste legate ai contratti part-time (orizzontali, verticali o annui) o ai contratti a termine, ma ogni volta Unicoop Tirreno ripete scelte che noi non condividiamo minimamente, continuando ad alimentare dei serbatoi di lavoro instabile (e quindi ricattabile) che servono solo a tenere basso quello che loro chiamano "costo del lavoro". In pratica, anziché dare una risposta alle situazioni suddette, decidono di creare ulteriori precari interinali, e il bello è che di questa voglia di sfornare ancora più precari se ne vantano pure sui giornali.

Continueremo ad attendere fiduciosi (nonostante tutto, vogliamo continuare ad avere speranza) di essere ricevuti dall'azienda nei prossimi giorni. Almeno di essere ascoltati, riteniamo di averne diritto.

Carrefour Catanzaro: aperta la svendita dei diritti

L’ unione Sindacale di Base non accetta concertazioni con le controparti. Ne tanto meno è disponibile a firmare accordi e contratti di lavoro con le regole che i sindacati di stato hanno deciso.

Nel nostro paese, cosi come nella nostra provincia, i sindacati complici accettano tutte le richieste delle controparti e firmano i peggiori accordi, come l’ultimo accordo sulla rappresentanza che Cgil, Cisl e Uil con Confindustria hanno siglato sulla pelle dei lavoratori. Un accordo che ricalca, in salsa sindacale, l’inciucio che ha portato al “governissimo” di salvezza nazionale di ALF..ETTA. Un accordo che sarebbe fotocopia degli accordi tra Fiat e Cisl e Uil, solo che questa volta è sottoscritto e sostenuto anche dalla Cgil della Camusso.

Quando i lavoratori vengono messi in condizione di scegliere da chi essere rappresentati, come alla SIGMA TAU di Pomezia, all’Unicoop Firenze o alla Carrefour di Milano, si ha la prova provata che quando Cgil, Cisl, Uil si misurano con la rappresentanza vanno incontro a pessime figure. Forse per questo hanno la frenesia di accreditarsi come uniche controparti per i padroni e per i Governi. Le mobilitazioni ci dimostrano che i lavoratori, se vengono messi in condizione di scegliersi il proprio futuro, non restano passivi o delegano le loro condizioni di vita a rappresentati sindacali che si fanno il “tramite“ dei padroni.

Dobbiamo affermare con i fatti che la democrazia nei luoghi di lavoro è un diritto indisponibile delle lavoratrici e dei lavoratori e non delle organizzazioni sindacali, che il pluralismo della rappresentanza deve essere garantito, se ne facciano una ragione lorsignori.

Oggi a Catanzaro si apre un confronto con l’azienda DI PIU’ distribuzione, cosa c’entrano i lavoratori nella compravendita di una azienda? Il vero ricatto è subordinare la cessione di una attività imprenditoriale alla riduzione del costo del lavoro! Noi a questo ricatto diciamo NO.

USB si schiera, come sempre, dalla parte dei lavoratori. Siamo all’inizio di una vertenza difficile, stabilire il rispetto dei propri diritti non è un’utopia, siamo consapevoli che, se i lavoratori vengono messi in condizione di scegliersi il proprio futuro, non si rassegnano alla politica della riduzione del danno ma hanno le qualità, l’energia e la determinazione per affrontare un percorso di lotta tesa alla salvaguardia dei diritti e del salario ed in grado di rigettare al mittente i piani industriali fatti sulla carne di chi lavora.

Il ricatto occupazionale che Carrefour ha messo sul piatto non ci spaventa, abbiano il coraggio di lottare e non siamo disponibili a confrontarci su norme e cavilli messi in campo appositamente per sfiancare i lavoratori!!!


giovedì 20 giugno 2013

CCNL DEL COMMERCIO: NON C'E' MAI FINE AL PEGGIO

I sindacati di categoria “si” approvano la piattaforma per il rinnovo del CCNL del Commercio, le categorie del terziario hanno anticipato la liberticida intesa confederale con Confindustria, completando il lavoro sulla piattaforma unitaria con un accordo sulle regole per la gestione del negoziato. Un accordo che sarà propedeutico a quello generale che sulla rappresentanza andrà sottoscritto con Confcommercio. Siamo di fronte ai sicari della democrazia e dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori del nostro paese.

La piattaforma è “Unica e unitaria”, Cgil, Cisl e Uil ritrovano l’unità per la loro stessa sopravvivenza sulla pelle degli oltre due milioni di lavoratori del settore, ai quali negli anni hanno eroso diritti e salario in piena complicità con Confcommercio, firmando contratti ed accordi a perdere e che hanno reso obbligatorio il lavoro domenicale e tolto finanche il diritto al pagamento della malattia.

Ovviamente i contenuti della piattaforma sono ancora sconosciuti ma l’ultimo rinnovo in ordine di tempo non lascia sperare nulla di buono. Ma una cosa appare subito chiara, le lavoratrici e i lavoratori non avranno alcun ruolo nella definizione della piattaforma contrattuale: sarà discussa esclusivamente quella presentata dai sindacati che, tra i firmatari dell’accordo sulla rappresentanza, abbiano una maggioranza del 50%+1; stessa cosa per rendere valido e definitivo un contratto, senza alcun obbligo di referendum, si parla solo di consultazione certificata che non si capisce bene cosa sia.

I padroni ottengono la sicurezza che gli accordi firmati non siano più messi in discussione, CGIL CISL UIL e i loro sindacati di categoria, come la FIOM di Landini che ha elogiato questo accordo (sic! ), hanno ottenuto l’esclusività dei diritti sindacali, della contrattazione e della rappresentanza mentre i lavoratori vengono trattati alla stregua di utili idioti, visto che non possono scegliere liberamente né i propri rappresentanti né decidere sulle piattaforme e poi sui contratti.

La libertà di ognuno è violata da questo accordo che consegna la vita di milioni di lavoratori a sindacati disponibili a firmare qualsiasi schifezza richiesta dalle aziende come dimostrano tanti accordi, come quello del San Raffaele, respinto dai lavoratori con il referendum.

I lavoratori del commercio sono stanchi di vedersi peggiorare le condizioni di lavoro e di vita da pseudo sindacati che hanno come unico scopo quello della sopravvivenza degli apparati e della gestione della crisi a braccetto con i padroni.

USB Commercio sta lavorando alla costruzione di una piattaforma alternativa che sia espressione delle istanze che provengono dai luoghi di lavoro, che pongono al centro della questione salario, precarietà, contrarietà al lavoro domenicale e festivo, salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e soprattutto democrazia, quella democrazia scippata da lorsignori che in cambio del peggioramento delle nostre condizioni di lavoro e di salario ottengono benefici e privilegi per i loro patronati, per gli enti bilaterali, con la gestione della previdenza e dell’assistenza sanitaria integrative.

martedì 18 giugno 2013

SAGIM, si tolgono le tende: salvi i 29 posti di lavoro

Siglato l'accordo tra Toro Assicurazioni e Sagim Ristorazione e Servizi che di fatto blocca lo sfratto esecutivo e salva i posti di lavoro dei 29 dipendenti.

I 29 lavoratori della Sagim, ditta di ristorazione e catering sita a Roma, rischiavano infatti il posto a causa dello sfratto, ormai esecutivo, da parte della Toro Assicurazioni, proprietaria della sede in via Tiburtina 1072 nonché a sua volta cliente della Sagim per il servizio di mensa aziendale e bar.

I Lavoratori, sostenuti dall'USB, dal mese di marzo hanno occupato i locali aziendali ed hanno prodotto una serie di iniziative volte alla conservazione del salario e dei diritti che hanno inchiodato la Toro Assicurazioni, del gruppo Generali, e la Sagim Ristorazione e Servizi alle loro responsabilità nei confronti delle 29 famiglie usate come scudi umani per dirimere le problematiche societarie.

I lavoratori hanno alternato scioperi ad oltranza, presidi, incontri con le istituzioni del territorio, richieste di intervento alla Prefettura, blocchi della mensa e del bar che servono i circa 800 dipendenti delle varie società presenti nel palazzo di via Tiburtina, ed alla fine hanno "ROVESCIATO IL TAVOLO", dimostrando resistenza, tenacia e grande dignità.

Questa anomala vertenza, al confine tra il sindcato e la riappropriazione di un diritto, tra il lavoro e l'occupazione di uno spazio, è l'ennesima dimostrazione che la lotta paga, lasciamo alle altre organizzazioni sindacali la logica della riduzione del danno. Organizzazioni sindacali ormai complici dei padroni e di confindustria che hanno da tempo abbandonato i bisogni dei lavoratori per produrre accordi di sopravvivenza dei loro stessi apparati che falcidiano la democrazia e i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori del nostro paese.

USB Commercio coglie un altro importante risultato reso possibile grazie a quelle lavoratrici e quei lavoratori che hanno condiviso un progetto, che hanno lottato e resistito nonostante le difficoltà della vertenza. A loro va il nostro grazie e con loro festeggeremo a breve la vittoria della vertenza proprio nei locali della Sagim, sito produttivo salvato dalla speculazione immobiliare.

lunedì 17 giugno 2013

USB COMMERCIO ESULTA: 3 “DONNA COOP” STABILIZZATE

Firmato oggi alla DTL di Latina l’accordo di stabilizzazione per Marialisa, Piera e Loredana.


Questo il loro commento: "Con USB abbiamo vinto, siamo felicissime. Marialisa, Piera e Loredana".

L’accordo è in controtendenza rispetto agli ultimi contratti di assunzione stipulati da Unicoop Tirreno, a tempo indeterminato ma per soli 5 mesi l’anno, con una formula di “part-time verticale annuo” che prevede appunto che la riduzione oraria rispetto al normale contratto full-time non si applica orizzontalmente mese per mese ma si calcola invece su base annua: 5 mesi di lavoro full-time, 7 mesi a casa. Marialisa, Piera e Loredana lavoreranno ed avranno reddito tutto l’anno.

USB Commercio esprime soddisfazione per l’accordo raggiunto, questo rafforza in noi la convinzione che un sindacato indipendente, di classe e conflittuale porta ad avanzamenti in termini di diritti e di salario per i lavoratori.

L’accordo raggiunto con Unicoop Tirreno potrebbe rappresentare un cambio di passo di un’azienda che finora ha tentato di escludere USB da tutti i tavoli nonostante la vastissima rappresentatività della nostra organizzazione sindacale. Tavoli che puntualmente abbiamo rovesciato come accaduto per la vertenza della Coop Campania.

Dopo la soddisfazione ci rimettiamo al lavoro, la vicenda di Catia Bottoni, amica e collega di Marialisa, Piera e Loredana, ci impegnerà nei prossimi giorni. Dopo dodici anni e 27 contratti a termine Catia si è  incatenata per protesta per ben due volte alla sede dell’Associazione nazionale delle Cooperative di Consumo, in via Guattani 9 a Roma, vestita di tutti i suoi contratti. Il 31 maggio le è scaduta l’indennità di disoccupazione e Catia deve provvedere al sostentamento dei suoi tre figli e a pagare una rata di mutuo di quasi mille Euro.

Noi faremo la nostra parte, ci auguriamo che la firma di questo accordo rimetta in gioco la posizione di Unicoop Tirreno.


domenica 16 giugno 2013

TURCHIA: IL CENTRO COMMERCIALE DELLA DISCORDIA

La costruzione di un centro commerciale catalizza i motivi di protesta di un intero popolo… sarà un caso?


Il 30 maggio oltre 10.000 persone si sono ritrovate nel parco Gezi di piazza Taksim, che il governo vuole distruggere, per gridare "Yeterli", basta, al liberismo sfrenato e a una idea distorta di progresso. La costruzione di un centro commerciale nell’ultimo polmone verde della città ha causato l’esplosione del più grande movimento di disobbedienza civile mai visto in Turchia, malgrado l’uso massiccio di gas, lacrimogeni, idranti e manganelli fatto dalla polizia.

Il 30 maggio l’ingranaggio distorto e malato si è inceppato, uomini e donne di tutte le età si sono ritrovatati in questo parco con i sui pioppi settantenni per gridare, ballare, riappropriarsi dello spazio pubblico di una città che nel giro di dieci anni è diventata la vetrina di troppe multinazionali. Sogni, progetti, vita.. musica, striscioni, slogan.. occhi di giovani e di anziani che si legano indissolubilmente alla storia di una Turchia così complessa, nostalgica e forte. Gli abitanti si sono riversati in piazza con tutta la loro indignazione per esercitare il diritto a riprendersi la città, per chiedere in modo legittimo di ripensare e cambiare questo spazio urbano sociale.

Il governo dell’AKP, ha accelerato la nuova progettazione di Istanbul, una delle città più grandi del mondo, in conformità alla sua agenda neoliberale ambiziosa e implacabile. Il governo ha quindi cominciato a realizzare enormi progetti, trasformando luoghi pubblici urbani che i cittadini comuni usano molto frequentemente, in lotti di terra dove dovranno essere costruiti hotel lussuosi, abitazioni, centri commerciali.

L’inizio della protesta, che si è estesa in tutto il paese, fu l’albero (il caso delle 500 piante del parco Gezi, polmone verde della megalopoli sul Bosforo). Poi è stata la birra (si è propagata in tutta la nazione contro il divieto sugli alcolici). Ma in fondo il nocciolo della questione, l’essenza della protesta delle donne e degli uomini turchi è la libertà. Colpisce che il “CENTRO” della protesta sia “COMMERCIALE”.

La politica di Istanbul è la stessa di tutti i governi capitalisti e punta a ridisegnare i costumi sociali, le condizioni di lavoro e la struttura architettonica della nostre città in funzione ed al servizio del capitale. Le nostre piazze, attraverso le quali si connetteva il tessuto sociale della città, sono via via sostituite dai centri commerciali, nuovo modello di “moderna piazza” priva di qualsiasi scambio umano che non sia mediato dal denaro, autentici non luoghi dove i soggetti sociali si incontrano senza interagire, dove ogni cittadino può ingannevolmente sentirsi, ricco, consumatore ma dove in realtà è prigioniero inconsapevole, dove campeggiano i “nuovi schiavi” del lavoro e del consumo. Nelle nostre città abbiamo centinaia di giganteschi centri commerciali, spesso questi “Business Park” sono frutti avvelenati di compensazioni edilizie in cui vengono previsti centinaia di migliaia di metri cubi destinati alla costruzione di ristoranti, bar, negozi e case private.

Il capitale drena il territorio delle nostre città facendo profitti ma in cambio non rende alcun valore aggiunto in termini di abitare e di occupazione. Nei processi disgregativi messi in atto dal capitale il settore del commercio è all’avanguardia, in un centro commerciare ci sono circa 2000 lavoratori che vedono applicati centinaia di contratti diversi, retribuzioni diverse, diritti diversi, ma che in realtà svolgono più o meno le stesse mansioni. L’organizzazione del lavoro in un centro commerciale rispecchia quella delle istituzioni totali (carceri, manicomi, caserme), passa cioè per l’organizzazione formale e centralmente amministrata del luogo e delle sue dinamiche interne ed il controllo operato dall’alto sui soggetti-membri. Al centro del dibattito quattro questioni di fondo: salario, part-time, discrezionalità e libertà. Nelle multinazionali del commercio un lavoratore su due ha un contratto part-time ma non dice che il part-time non è quasi mai una libera scelta dei lavoratori, dei quali l’80% è di sesso femminile, ma è l’unica possibilità che viene offerta per essere assunti. La possibilità di migliorare questa condizione è remota e spesso non passa attraverso il merito o l’anzianità, il risultato è un salario che si aggira sui 700 euro mensili. Chi fa il part-time ha bisogno di svolgere una seconda occupazione per mettere insieme un salario appena sufficiente ma questo è reso impossibile dall’organizzazione del lavoro messa in atto. I turni dei lavoratori spesso vengono esposti il venerdì o il sabato della settimana precedente e variano in continuazione a seconda delle esigenze dell’azienda e non nel rispetto dei tempi di vita e della cura delle famiglie. La speranza di poter ottenere incrementi di orario costituisce uno degli strumenti preferiti dalle aziende per mantenere sotto ricatto chi lavora. Chi vive la realtà di centro commerciale sa benissimo che è difficoltoso anche poter andare in bagno ed è spesso necessario chiedere il permesso, l’esigenza fisiologica viene considerata parte integrante dell’organizzazione del lavoro e del potere datoriale. La repressione del dissenso sindacale nei centri commerciali del terzo millennio ricalca quella del secolo scorso nelle fabbriche, ha la stessa natura violenta ma dispone di tecnologie di controllo evolute, rendendo difficile organizzare il dissenso dei lavoratori.

Dietro questo proliferare di centri commerciali si nasconde spesso l’attività speculativa di grandi gruppi finanziari e la presunta infiltrazione del potere mafioso. La Corte dei Conti ha pubblicato una relazione dedicata alla criminalità organizzata che non ha avuto la dovuta rilevanza sui giornali e alla televisione. Tale relazione rileva che centri commerciali e case sono le nuove frontiere delle mafie. Infatti, le attività economiche in cui la criminalità organizzata investe con maggior frequenza sono quelle “edilizie, immobiliari, commerciali e la grande distribuzione”. Il commercio, in particolare il franchising che coinvolge le grandi marche, consente alle organizzazioni criminali di procedere all’apertura di esercizi commerciali spesso a nome di soggetti terzi compiacenti non immediatamente riconducibili ad esponenti della criminalità. In questo modo, le mafie riescono a controllare l’intero processo che va dalla costruzione delle strutture al loro sfruttamento con la vendita dei beni, permettendo il riciclaggio di denaro proveniente da attività illecite. L’infiltrazione della criminalità organizzata nell’attività edilizia e commerciale è favorita anche da una scorretta progettazione urbanistica che si fonda su un modello di sviluppo incontrollato. Il prodotto finale di questo genere di progettazione sono le tante “piazza Taksim” presenti nelle nostre città, ovvero cemento che sostituisce spazi verdi.

Non di secondo piano è il problema del reddito: le grandi centrali di acquisto che riforniscono le catene della Grande Distribuzione Organizzata (GDO) dovrebbero fungere da strumento di «razionalizzazione e programmazione delle forniture», in realtà sono un vero e proprio cartello dei prezzi che scarica i suoi effetti sul salario e sulle condizioni di lavoro (in tutto il ciclo dalla produzione, al trasporto fino alla distribuzione) e sui prezzi al consumo. A conferma di ciò l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha deciso di volerci vedere più chiaro sulla dinamica di formazione dei prezzi come sui rapporti e le condizioni contrattuali praticate dalle centrali di acquisto nei confronti delle imprese che forniscono i prodotti. Semplificando: la distorsione all’interno della filiera agro alimentare crea sperequazione e aberrazioni tangibili con un sicuro beneficio economico solo per le multinazionali, mentre gli agricoltori hanno visto diminuire i loro margini al punto tale che sempre più spesso non gli conviene più raccogliere ad esempio la frutta, dal momento che il costo del lavoro della sola raccolta è già superiore per unità di prodotto al prezzo pagato loro dalle centrali di acquisto; si sviluppano forme di caporalato che portano ai casi di Rosarno in Calabria o di Nardò in Puglia, dove migliaia di migranti sono resi schiavi negli agrumeti. Il risultato di questa filiera agroalimentare dominata dalla GDO è un prezzo di acquisto al consumo portato alle stelle, con ripercussioni sui cittadini che pagano l’ennesimo inaccettabile prezzo della crisi.

Altro problema rilevante è la completa deregolamentazione degli orari delle attività commerciali che non ha portato alla crescita economica, ma solo all’inasprirsi di una crisi che già da diverso tempo sta affliggendo il commercio, aggiungendo un ennesimo tassello al puzzle di precarietà, basso salario, difficoltà nella vita di relazione e degli ormai pochissimi diritti per oltre due milioni lavoratori del settore. La crisi del commercio non ha nessun collegamento con le aperture e la liberalizzazione degli orari ma nasce dalla mancanza di reddito diretto ed indiretto dei consumatori. In Italia le mirabolanti promesse di crescita occupazionale all'indomani del decreto Monti si stanno traducendo oggi in chiusure di migliaia di imprese piccole e grandi, che non reggono la concorrenza. Le nuove assunzioni nella Grande Distribuzione Organizzata sono rimaste lettera morta e si sono tradotte in aumento di carichi di lavoro degli occupati e già precarizzati lavoratori dei centri commerciali. Il suddetto aumento dei carichi di lavoro e quello del nastro orario per far fronte alle liberalizzazioni non si è tradotto in stabilizzazione dei rapporti precari o in crescita salariale. I lavoratori della GDO hanno visto aumentare la flessibilità e la precarietà e nel contempo le aziende ed i sindacati concertativi hanno “limato” le maggiorazioni festive e domenicali attraverso macchiavellici accordi a perdere. Insomma, lavorare di più per guadagnare di meno.

Non ci coglie di sorpresa che la difesa di un parco contro la speculazione commerciale si sia trasformata in resistenza. Nelle piazze vecchie e nuove si incontra la Polis e nell’antica Grecia la piazza – Agorà - era il luogo simbolo della democrazia del paese, dove si riuniva l’assemblea per discutere e prendere le decisioni politiche. Il popolo Turco ha rinchiuso l'individualismo in nome di una solidarietà pronta a resistere, per decidere come vuole e se vuole il “progresso”. Il seme è germogliato e le donne e gli uomini turchi stanno riscrivendo la loro storia.


giovedì 13 giugno 2013

FATTI MANDARE DALLA COOP A PRENDERE IL LATTE

Unicoop Firenze sanziona un lavoratore per aver aiutato un invalido a prendere il latte. Questa assurda e incredibile vicenda è accaduta ad un lavoratore Unicoop del Neto di Sesto Fiorentino.

Il dipendente,  mentre stava rifornendo lo scaffale del caffè, si è sentito chiedere da un cliente con evidente invalidità se poteva prendergli del latte che si trovava nello scaffale opposto. Il commesso, nello spostare una cassa di latte, si è infortunato alla schiena ed a fine turno si è recato in ospedale; la struttura sanitaria ha certificato l’infortunio.

Unicoop Firenze ha sanzionato il lavoratore con un giorno di sospensione, contestandogli che non doveva alzare pesi per delle limitazioni alla mansione evidenziate dal medico competente, contestandogli inoltre l’abbandono del posto di lavoro.

Riemerge con prepotenza la doppia faccia di Unicoop: da una parte immacolata e impeccabile nella sua immagine pubblica, dall'altra impietosa e arrogante nei rapporti con i lavoratori. Tutte le belle favolette che il Presidente Campaini racconta sul "valore aggiunto" rappresentato dai dipendenti di Unicoop e tutta l’attenzione al socio ed al consumatore che riempie le pubblicità della Coop sembrano essere soltanto mera propaganda, in realtà questo è l’ennesimo episodio che ci riporta alla “Fattoria degli animali” di  Orwelliana memoria, dove tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri.

USB Lavoro Privato stigmatizza questo triste episodio e si attiverà in tutte le sedi per la tutela del lavoratore.

CARREFOUR: USB apre la struttura a Catanzaro dopo l'affermazione alle RSU di Milano

Dopo la netta affermazione alla GS CARREFOUR di Milano, dove la lista dell’Unione Sindacale di Base, presente per la prima volta, ha raggiunto il 70% dei consensi espressi dai lavoratori; dopo gli eccellenti risultati nelle elezioni RSU della GDO cooperativa in Toscana, il vento del cambiamento continua a soffiare anche in Calabria.

Al termine un'animata e partecipata riunione nella sede USB di Catanzaro i lavoratori hanno scelto l'Unione Sindacale di Base per rappresentare le proprie istanze alla multinazionale francese. Questa è l'ennesima dimostrazione che un sindacato fatto dai lavoratori e per i lavoratori, che porta le vertenze all’interno dei luoghi di lavoro e le rappresenta insieme ai movimenti presenti sul territorio, è quello che gli addetti del commercio aspettavano da tempo.

I lavoratori che si sono rivolti ad USB hanno recepito con favore una proposta sindacale che li rende protagonisti delle proprie lotte, avvertendo l'esigenza di una nuova rappresentanza sindacale che rivendichi le loro istanze con decisione e non con il solito atteggiamento compiacente.

La nuova struttura del commercio, in una regione difficile come quella calabrese, è l'ennesima iniezione di energia per tutti noi e ci impegna a lavorare con sempre maggior determinazione per rendere concreti i molti obiettivi che ci siamo proposti.

All’indomani della manifestazione a Porte di Roma USB nomina la RSA in Media World

L’evidente sostegno dei commessi e delle innumerevoli figure di precari che costituiscono il lavoro vivo della grande, media e piccola distribuzione commerciale all’interno del tempio dello shopping di Porte di Roma, riscontrato durante il corteo del 2 giugno, si è trasformato in crescita della struttura USB Commercio.

Questo è il segno evidente che un sindacato fatto dai lavoratori e per i lavoratori, che porta le vertenze all’interno dei luoghi di lavoro e le rappresenta insieme ai movimenti presenti sul territorio, è quello che gli addetti del commercio aspettavano da tempo.

I lavoratori Media World del centro commerciale Porte di Roma scelgono l'Unione Sindacale di Base per rappresentare le proprie istanze alla multinazionale Tedesca. Media World è un marchio del gruppo Media-Saturn Holding, leader in Europa nella distribuzione di elettronica di consumo, di cui fa parte anche Saturn.

I lavoratori che si sono rivolti ad USB hanno recepito con favore una proposta sindacale che li rende protagonisti delle proprie lotte avvertendo l'esigenza di una nuova rappresentanza sindacale che rivendichi le loro istanze con decisione e non con il solito atteggiamento compiacente.

La nomina della nuova RSA USB è l'ennesima iniezione di energia per tutti noi e ci impegna a lavorare con sempre maggior determinazione per rendere concreti i molti obiettivi che ci siamo proposti.

Oggi è soltanto l'inizio di un percorso fatto di momenti di formazione per la futura RSA e di crescita di coscienza dei lavoratori, attraverso un'informazione capillare e un confronto costante.

USB Lavoro Privato ha già richiesto un incontro all’azienda per portare all'attenzione della stessa le istanze dei lavoratori.

lunedì 3 giugno 2013

I lavoratori del Commercio in "parata" per il diritto alle domeniche e ai festivi

Corteo e "lezione di Costituzione" all'interno del centro commerciale Porte di Roma 


  Oltre duecento tra lavoratrici, lavoratori, precari, attivisti dell'Unione Sindacale di Base, realtà sociali del territorio e occupanti delle case di via Casal Boccone, hanno sfilato all'interno del grande tempio dello shopping e dello sfruttamento della capitale, contro il lavoro nei giorni domenicali e festivi. Il corteo si è snodato per il centro commerciale e si è fermato a megafonare e volantinare davanti a tutti i negozi delle grandi firme: Auchan, H5M, Pimkie, Decathlon, Mediaworld, Leroy Merlin, Ikea, Mc Donald's.


Lo striscione che apre il corteo, le voci che si susseguono al megafono, le bandiere dell'USB, gli slogan dei manifestanti, insomma, oggi il dissenso organizzato ha varcato le soglie di un centro commerciale ed è stata praticata la resistenza a questo scempio che ha come unico scopo quello di ridurre le nostre vite a mere relazioni mediate dal denaro, annullando di fatto socialità, solidarietà e diritti fondamentali come appunto il diritto alla festa.

Tra la sorpresa e la curiosità degli acquirenti, che tavolta manifestano aperta simpatia per chi sta protestando, ed il sostegno dei commessi e delle innumerevoli figure di precari che costituiscono il lavoro vivo della grande, media e piccola distribuzione commerciale, che appena possono escono dai negozi, prendono il volantino e ringraziano, l’USB prosegue la propria azione di lotta e, dopo la "lezione di diritti"  dello scorso 25 aprile al centro Commerciale Cinecittà Due, oggi impone la "lezione di Costituzione" a Porte di Roma, per ricordare che all'articolo 17 è previsto anche il diritto al riposo.

L'80% dei lavoratori del commercio e della grande distribuzione sono donne. Il lavoro nei giorni festivi sta rendendo loro la vita sociale e familiare impossibile, tra l'altro con contratti part time e precari e con salari bassissimi che occupano tanto tempo e restituiscono pochissimo reddito. Oggi abbiamo rimesso al centro il diritto dei lavoratori alle feste, ma soprattutto ad un salario e ad un lavoro all'insegna della dignità.

A tenere lo striscione d'apertura del corteo Catia Bottoni, recordwoman della precarietà, che in 12 anni ha collezionato 27 contratti a termine con la Coop e che nei giorni scorsi si è incatenata sotto la sede nazionale dell’Associazione di categoria, perché a breve non avrà più alcun reddito per sostenere i suoi tre figli. Alla manifestazione hanno partecipato le delegazioni delle Federazioni Provinciali USB di Livorno e di Viterbo.

Il decreto del governo Monti, noto come “salva Italia”, come da noi profetizzato, sta producendo i suoi effetti nefasti ed evidenziando le sue contraddizioni. USB, con la manifestazione di oggi, lancia la sua campagna nazionale contro le liberalizzazioni degli orari di apertura degli esercizi commerciali, contro la precarietà e lo sfruttamento.